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I cromosomi sono sin dalla nascita i ‘custodi’ di tutte le nostre caratteristiche personali. Ogni cellula del nostro organismo ne contiene 23 coppie, cioè̀ 46 singoli cromosomi.
Esistono fattori diversi che intervengono modificando il numero dei cromosomi, per eccesso o per difetto, o la struttura. Si determina così un’anomalia cromosomica.
La più frequente e conosciuta è la sindrome di Down (o Trisomia 21) che consiste appunto nella presenza di un cromosoma in più nella 21° coppia. Ci sono, inoltre, la sindrome di Edwards (o Trisomia 18) e la sindrome di Patau (Trisomia 13): sindromi caratterizzate da un quadro polimalformativo, nella maggioranza dei casi incompatibile con la vita.
Per diagnosi prenatale si intende un insieme di indagini, sia strumentali che di laboratorio, che hanno lo scopo di monitorare alcuni aspetti dello stato di salute del feto durante la gravidanza, dalle prime fasi dello sviluppo embrionale fino ai momenti che precedono il parto.
Nella popolazione generale, la probabilità di avere un bambino con un problema presente alla nascita (congenito) è pari a circa il 3%; nell’1% dei casi si tratta di anomalie che riguardano i cromosomi o il DNA, negli altri casi di malformazioni congenite (ad esempio del cuore o dei reni) o di altre malattie (ad esempio, malattie infettive o enzimopatie).
Tutte le indagini prenatali disponibili (ecografie, test non invasivi e test invasivi) permettono di identificare solo alcune malattie o condizioni patologiche ed è importante che ogni coppia scelga con consapevolezza se sottoporvisi, o meno.
La valutazione del possibile rischio di malattia da parte di un genetista conferma se esiste solo un rischio generico, uguale a quello di tutta la popolazione, o se siano presenti fattori di rischio specifici (ad esempio, genitori portatori sani di una anomalia genetica) o legati all’età materna avanzata (ad esempio, rischio di sindrome di Down) o ai risultati di precedenti screening prenatali (ad esempio, rischio di sindrome di Down risultato da un test combinato).
Le indagini prenatali permettono di individuare precocemente malattie che possono essere causate da anomalie del DNA, da alterazioni dei cromosomi, da malattie infettive contratte in gravidanza, come la rosolia o la toxoplasmosi, dall’assunzione di farmaci che possono indurre malformazioni fetali e da altre cause tra cui, alcune, curabili in utero prima della nascita. Talvolta, è anche possibile individuare alcuni difetti congeniti, ad esempio del cuore, dei reni e delle vie urinarie, sui quali intervenire chirurgicamente subito dopo la nascita del bambino per evitare danni irreversibili.
I principali obiettivi della diagnosi prenatale consistono nel fornire informazioni a tutte le coppie e, in caso di rischio elevato di malattie congenite, nell’informarle dell’esistenza di un test mirato per l’accertamento (diagnosi) della presenza di specifiche anomalie. Consente, inoltre, di identificare alcune malattie che interessano il feto e, quando possibile, di instaurare una cura farmacologica o chirurgica prima della nascita. Infine, in base all’anomalia fetale accertata (diagnosticata) permette di programmare il momento, il luogo e le modalità dell’assistenza al parto, e di predisporre un’adeguata presa in carico medica e psicologica dei genitori.
Le tecniche di diagnosi prenatale possono essere invasive o non invasive.
I test non invasivi sono sicuri al 100% per il feto oltre che per la donna, ma forniscono solo una stima del rischio della presenza di alcune anomalie cromosomiche, in particolare la trisomia 21 (sindrome di Down), la 13 o la 18 e, eventualmente, anomalie dei cromosomi sessuali. Per questo sono considerati test di screening, vale a dire test che identificano un possibile rischio di malattia, la probabilità che possa essere presente.
I test invasivi, invece, permettono di accertare la presenza di anomalie legate al DNA e ai cromosomi e per questo sono detti test diagnostici. Comportano, tuttavia, un rischio di aborto.
Test non invasivi
- ecografia, tecnica che permette di controllare e seguire lo sviluppo dell’embrione e del feto. È impiegata per guidare i prelievi eseguiti durante le indagini prenatali invasive. È la tecnica più usata perché si basa sugli ultrasuoni che, ad oggi, non hanno dimostrato effetti nocivi sul feto. La linea guida “Gravidanza fisiologica” del Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità raccomanda l’esecuzione di due ecografie in gravidanza: la prima, entro la 14a settimana per verificare l’impianto dell’embrione all’interno dell’utero e per definire l’epoca del concepimento correggendo eventuali errori derivanti dal calcolo basato solo sulla data dell’ultima mestruazione; la seconda (chiamata “morfologica”), tra la 19a e la 21a settimana di gravidanza per valutare l’anatomia del feto ed escludere malformazioni identificabili mediante questo esame. Entrambe sono offerte gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale. Qualora il medico curante lo richieda, durante la gravidanza è possibile eseguire anche altre ecografie, la più frequente è quella che viene effettuata nel terzo trimestre per valutare la crescita fetale, lo stato della placenta e la quantità di liquido amniotico
- ecocardiografia fetale, esame ecografico eseguito al fine di esaminare il cuore del feto per escludere la presenza di una patologia o di una malformazione congenita. È effettuata durante il secondo trimestre (a partire dalla 20a settimana) dietro richiesta motivata del medico
- analisi biochimiche del sangue materno (test combinato, tri test, test integrato), che identificano un possibile rischio di malattia. Il test combinato prevede anche l’esecuzione di una ecografia per valutare lo spessore della cosiddetta plica retro-nucale del feto che, insieme ai risultati dell’esame del sangue, permette di stimare il rischio di alcune anomalie cromosomiche. Il Servizio Sanitario Nazionale offre gratuitamente a tutte le donne in gravidanza, a prescindere dall’età materna, questi esami di screening per valutare l’opportunità di sottoporsi o meno a esami invasivi, dopo una valutazione documentata del rischio individuale. Il “test del DNA fetale” presente nel sangue materno già dalla 10° settimana di gravidanza viene ugualmente eseguito su un campione di sangue prelevato alla donna in gravidanza ma, a differenza degli altri test non invasivi, non è stato ancora incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) previsti dal Servizio Sanitario Nazionale perché non tutto il territorio nazionale dispone di laboratori pubblici in grado di garantire la sua erogazione, è quindi un esame offerto privatamente
Test diagnostici invasivi
- villocentesi o prelievo dei villi coriali, si esegue nel primo trimestre di gravidanza (dopo la 10a settimana) introducendo, sotto controllo ecografico, un ago attraverso l’addome materno per prelevare delle cellule dei villi coriali ed esaminarle per la ricerca di eventuali anomalie del DNA. Più raramente il prelievo di piccole porzioni di tessuto è eseguito attraverso la vagina e il canale cervicale. Il rischio di aborto legato alla metodica è compreso fra l’1- 2%
- amniocentesi, si effettua al quarto mese di gravidanza (tra la 15a e la 18a settimana) introducendo un ago, attraverso l’addome materno, per prelevare circa 20 cc di liquido amniotico contenente cellule del feto. Su tali cellule è eseguita l’indagine cosiddetta del cariotipo (mappa cromosomica) per cercare eventuali anomalie cromosomiche. Il rischio di aborto legato alla procedura si attesta intorno allo 0,5-1,0%
- cordocentesi, si esegue dopo la 16a settimana, consiste nel prelievo del sangue del feto attraverso i vasi sanguigni del cordone ombelicale. Il rischio di aborto legato all’esame è circa il 2%, superiore a quello di villocentesi e amniocentesi. Per questo motivo la cordocentesi è eseguita solo in situazioni particolari (ad esempio nel caso in cui la donna abbia contratto alcune gravi malattie infettive durante la gravidanza)